2019: Diego torna all'Aquila, la sua città, lasciata dopo il terremoto del 2009...

Pubblichiamo il racconto di Daniele Lancione, il govane studente del Liceo "Bafile" che ha vinto il concorso di narrativa del Progetto "L'Aquila 2019".

Daniele Lancione, vincitore della sezione Narrativa, con Michela Ciocca e Maria Fabrizia De Stefano, vincitrici della sezione Saggistica.

 

DIECI anni dopo…

di Daniele Lancione

Il brusco movimento del passeggero che occupava il sedile accanto al suo, lo aveva inevitabilmente destato dal piacevole sonno che il soffice poggiatesta su cui   teneva appoggiata la nuca gli stava concedendo.

Mentre cercava di mettere a fuoco la scena che si parava dinanzi ai suoi occhi ancora impastati, accettò cortesemente le timide scuse che il goffo passeggero gli stava porgendo, pur sapendo in cuor suo che avrebbe preferito proseguire il suo appagante riposo per ancora qualche minuto.

Avendo perso ormai ogni speranza di poter tornare a sonnecchiare adagiato al suo comodo schienale, si sistemò ritto sul sedile e dopo essersi guardato intorno per parecchi secondi con aria ancora molto assonnata, decise di gettare lo sguardo al di là del finestrino, per cercare di riconoscere il luogo attraversato dalla strada che l’autobus percorreva in quel momento a velocità abbastanza elevata.

Gli insistenti raggi di sole illuminavano un panorama a dir poco stupefacente, un costante ergersi di montagne piuttosto elevate e declivi erbosi più dolci, incorniciati da fitte distese di alberi che offrivano allo sguardo una varietà di colori impressionante.

Non ebbe bisogno di chiedere al conducente quanto ancora mancasse alla destinazione, un ultimo sguardo verso quell’inconfondibile paesaggio confermò che L’Aquila ormai non poteva essere troppo lontana.

Passò il resto del viaggio a immaginare ciò che avrebbe potuto trovarsi davanti  agli occhi una volta arrivato e quale effetto questo avrebbe potuto suscitare in lui.

Del resto erano passati ormai più di dieci anni dall’ultima volta che aveva visto la sua città.

Era nato a L’Aquila, era cresciuto a L’Aquila, aveva frequentato la scuola a L’Aquila, conosciuto i suoi migliori amici a L’Aquila, quello era il teatro dei suoi più bei ricordi.

Eppure, L’Aquila lo aveva reso insieme a migliaia di altre persone protagonista di una sofferenza grande, di quelle che nella vita non te le scordi più.

Il terremoto dell’Aprile 2009 lo aveva costretto insieme alla sua famiglia ad abbandonare definitivamente la città, all’età di 19 anni.

 

 

Non che non avessero tentato di rimanere, anzi, bisognava ammettere che avevano provato con ogni mezzo, sebbene avessero perduto la casa, dilaniata da danni irreparabili e fossero incappati in una serie di situazioni che furono causa di grandissime difficoltà: avevano lottato contro pioggia e fango al riparo delle tende blu del ministero e passato mesi all’interno di case in affitto, fin quando giunsero al momento in cui, complice soprattutto lo stress mentale e fisico di cui erano divenuti soggetti i suoi genitori a causa degli ultimi avvenimenti, si erano convinti di combattere qualcosa di troppo forte per la loro sopportazione e avevano deciso di allontanarsi dalla città.

Tornava solo quel giorno per la prima volta, e doveva ammettere che ciò gli provocava una sensazione che non riusciva bene a descrivere: aveva una voglia pazzesca di conoscere quanto potesse essere cambiato a distanza di dieci anni, ma allo stesso tempo provava una sorta di timore all’idea di tornare in quel luogo.

Dovette interrompere improvvisamente il flusso dei suoi pensieri quando si accorse che l’autobus era fermo ormai da parecchi secondi e, tentando di ignorare quella strana impressione, recuperò le sue cose dal sedile e cominciò a scendere i gradini che lo separavano da terra.

Fu immediato.

Aveva appena sfiorato il terreno con la suola consumata della scarpa, quando fu investito da una sensazione incredibile, una sensazione che doveva essere conseguenza del sapore unico che aveva l’aria in quel posto, carico di bei ricordi.

Probabilmente era frutto solo della sua immaginazione, ma si lasciò accompagnare volentieri da quel favoloso senso di appagamento mentre percorreva a passo svelto l’ampio parcheggio in cui stazionavano gli autobus e si interrogava su quale direzione prendere.

Decise di seguire un piccolo gruppo di persone che si incamminava verso uno stretto vicolo, il quale sembrava salire verso il centro storico.

Già dal primo sguardo comprese che molto in quei dieci anni doveva essere cambiato, certamente più di quanto avesse immaginato: l’ultimo ricordo che aveva di quei viottoli tortuosi  era caratterizzato da mucchi di calcinacci e resti di pareti che invadevano lo spazio lungo il quale stava camminando al momento, e case segnate pesantemente da danni gravissimi e crepe spaventose; adesso erano incorniciati da schiere di case graziose, i balconi ingombri di fiori dai colori  vivaci che le casalinghe si impegnavano a curare ogni giorno.

Rimase a lungo con lo sguardo incollato alle pareti colorate delle abitazioni,ancora in attesa di decidere se credere oppure no a ciò che vedeva, tanto che ci mise un po’ prima di accorgersi di aver quasi raggiunto la via principale.

Se era rimasto colpito dall’impressionante trasformazione che avevano subito i  vicoletti più interni, questa volta dovette davvero mettere a dura prova i muscoli del viso per non lasciare che la sua bocca si spalancasse in un chiaro gesto che dimostrasse tutto il suo stupore.

Non poteva essere vero, quel corso l’ultima volta era completamente deserto, se non per qualche vigile del fuoco o militare dell’esercito impegnato a controllare l’inviolabilità della zona rossa.

Adesso non era quasi possibile fare due passi senza rischiare di pestare i piedi ad almeno una di quel centinaio di persone che si affrettava a sbrigare le faccende del giorno oppure sostava sul marciapiede a chiacchierare con un amico o ancora sedeva sui tavolini all’aperto di un bar a gustare un buon caffè.

E non era tutto: sembrava addirittura che il fittissimo intreccio di travi di legno o tubi d’acciaio, che l’ultima volta erano messi a sostegno delle pareti barcollanti degli edifici più antichi e danneggiati e li coprivano totalmente dalla vista dei passanti, fosse scomparso e avesse lasciato posto al pregio artistico di quei palazzi.

Abbassò di nuovo gli occhi  verso la strada, sempre più ammirato e, pervaso da un improvviso entusiasmo, si inserì nella densa corrente di persone diretta verso la piazza principale.

Probabilmente era stata colpa sua,non era mai stato molto ottimista,e sicuramente non si sarebbe mai aspettato che potesse essere compiuto un tale miracolo.

Se non avesse vissuto abbastanza tempo in quel posto da permettergli di riconoscere alla perfezione ogni singolo angolo della città, avrebbe pensato che il conducente del suo autobus avesse alzato un po’troppo il gomito prima della partenza e avesse semplicemente sbagliato l’imbocco dell’autostrada, quella non poteva essere una città reduce di un terremoto vecchio solo una decina di anni.

Intanto la folla lo aveva trascinato all’interno della piazza, e fu unicamente per il fatto che da quanto aveva osservato sino a quel momento era pronto ormai a qualsiasi tipo di sorpresa che riuscì a trattenere tutta la sua incredulità: anche lì era tornato tutto come prima, le chiese che circondavano  la piazza mostravano di nuovo le loro maestose facciate, tali e quali sin nell’ultimo dettaglio a quelle che molti anni prima facevano da sfondo alle partite di pallone giocate insieme ai suoi amici, le gelaterie e i bar dove consumava sempre le sue merende avevano spalancato di nuovo i battenti.

Pareva non rimanere traccia della città fantasma che non più di dieci anni prima era costretta a piangere delle proprie disgrazie.

Uno strano rumore che poteva assomigliare ad uno scricchiolio lo costrinse a distogliere lo sguardo dal fascino della piazza e non riuscì a trattenere un sorriso quando constatò che a provocarlo era stato proprio il suo stomaco, che aveva completamente ignorato da quando aveva messo piede fuori dal suo autobus.

Pensò che era l’occasione giusta per tornare a varcare finalmente la soglia di uno dei bar che aveva sempre preferito, così si incamminò verso una porta di vetro che si trovava sul versante alto della piazza, spostata verso l’imbocco di uno dei vicoli che si allontanava.

Entrò nel fresco locale un po’ in soggezione, eccitato dall’idea di tornare di nuovo in contatto con i suoi vecchi concittadini, ma convinto allo stesso tempo che nessuno si sarebbe minimamente ricordato di lui dopo tanto  tempo.

Si diresse verso il bancone, dove affiancò un ragazzo dall’aria simpatica che indossava una vistosa t-shirt verde acido e aspettava il proprio turno.

Passò qualche minuto e dovette cominciare a controllare se avesse qualcosa fuori posto, i capelli spettinati, o il viso sporco, perchè il ragazzo non faceva altro che lanciargli intense occhiate.

Cercando di ignorare lo strano comportamento del giovane, ordinò la sua aranciata alla donna al di là del bancone, pagò il conto e riuscì ad occupare uno dei  pochi tavolini ancora vuoti, quindi puntò i gomiti sulla liscia superficie e, con le labbra incollate alla cannuccia, si immerse totalmente nei suoi pensieri…

<Allora non abbiamo dimenticato del tutto L’Aquila, eh?>

Alzò lo sguardo di soprassalto per cercare la persona che aveva parlato e non dovette fare troppa fatica per trovarla: il ragazzo dalla maglia verde aveva preso posto al suo tavolo e lo guardava ancora più intensamente di prima.

Si voltò a destra e a sinistra per scoprire se ci fosse qualcuno alle sue spalle, ma sembrava fin troppo evidente che era proprio lui il destinatario di quelle parole.

<Stai parlando con…>

In effetti quel ragazzo gli pareva sempre più familiare, ma proprio non riusciva a ricordare…

<Finalmente il caro Diego si è ricordato di essere Aquilano e è tornato a far visita al suo vecchio amico Antonio?>

Diego rimase impietrito per parecchi secondi, poi si rese conto dell’affermazione del ragazzo e, ancora incredulo, balzò in piedi, quindi lo strinse in un caloroso e prolungato abbraccio.

Adesso non c’erano dubbi, come aveva fatto a non riconoscerlo prima?

I capelli ribelli che non aveva mai visto in ordine, lo sguardo da bambino dei suoi occhi verdi, l’atteggiamento scherzoso che non aveva mai abbandonato…quello era Antonio, il suo compagno di banco e di avventure ai tempi del liceo, uno di quegli amici per cui aveva provato un incredibile dispiacere nel dire addio a L’Aquila.

Quando sciolsero l’abbraccio e ripresero posto al tavolino, rimasero a scrutarsi entrambi con aria sconcertata, finché Diego non decise di porre fine all’imbarazzante silenzio: <Antonio, incredibile…come va? Che cos’hai fatto da quando sono andato via?>

<Be, a dire il vero ne sono successe di cose…perché non sei tornato prima?>

<Lo so, forse avrei dovuto. Ma non ne ho avuto il coraggio, non so bene come spiegartelo. Avevo paura di ciò che avrei potuto trovare, e se fosse stato ancora tutto come prima? Ero terrorizzato dall’idea di tornare di nuovo per trovarmi ancora una volta di fronte al cumulo di macerie che mi ero lasciato alle spalle. Ma a quanto pare devo essermi sbagliato di grosso, è cambiato molto…>

Stranamente ciò che aveva appena detto sembrava aver infastidito Antonio, che parve abbandonare per un momento i toni dolci con cui l’aveva accolto.

< Si, certo, è cambiato molto ma non pensare che  sia successo tutto da un giorno all’altro, che ci siamo alzati una mattina e abbiamo inspiegabilmente scoperto che L’Aquila era tornata come prima, come se non fosse mai successo niente. Tutti avevano paura che la situazione non si sarebbe mai risolta, ma ogni giorno si sono alzati, rimboccati le maniche e impegnati perché quello seguente fosse un giorno migliore! E tu non ti fai vedere per dieci anni aspettando che gli altri si sforzino per riportare alla normalità la città?>

Tacque per alcuni istanti, parve finalmente tranquillizzarsi, poi riprese:

<Scusa, forse me la sto prendendo troppo, in fondo tu hai dovuto seguire la decisione della tua famiglia di andare via, ma davvero, mi aspettavo di rivederti molto tempo prima…>

Nel suo sguardo si leggeva chiaramente la delusione che provava nei suoi confronti.

Avrebbe voluto poter rispondere qualcosa, ma non sapeva bene cosa sarebbe stato meglio dire in quelle situazioni; alla fine fu Antonio a parlare per primo: <Allora, che ne pensi della nuova L’Aquila?>

Il suo tono sembrava essere tornato quello amichevole di un tempo, il che fece molto piacere a Diego, che preferiva di sicuro la versione tranquilla del suo amico a quella scontrosa di poco prima.

<Sai che ti dico? Forse hai ragione tu, ho sbagliato ad aspettare così tanto tempo per essere sicuro di trovare L’Aquila meglio di come la avevo lasciata, ma devo ammettere che neanche io mi sarei aspettato di assistere ad una rinascita così precoce…la fedele ricostruzione degli edifici danneggiati, la popolazione che torna di nuovo ad affollare le vie del  centro…sembra tutto come prima…>

Adesso Antonio pareva totalmente aver dimenticato la sua precedente perdita di controllo e avere una voglia matta di parlare e dirgli finalmente con un pizzico di orgoglio tutto quello che aveva atteso di raccontargli per anni.

<E’ qui che ti sbagli…non solo è tutto tornato come prima, ma è tutto meglio di prima. L’Aquila è migliorata sotto ogni tipo di aspetto. Tu hai dato solo uno sguardo alle crepe cancellate dai palazzi e dalle chiese del centro storico, ma non si è trattato solo di ricostruire. Bisognava impegnarsi anche per migliorare l’offerta di ogni tipo di servizio ai cittadini.>

<Ti ricordi quando passavamo interi pomeriggi a cercare campi disponibili per le nostre partite a calcetto e alla fine ci trovavamo sempre a giocare sui lastroni ruvidi di Piazza Duomo? Oppure quando non riuscivamo a trovare un posto dove trascorrere i nostri momenti di libertà? Adesso ci sono centri sportivi funzionali per chi desidera svolgere qualsiasi tipo di attività fisica, diversi centri per le attività culturali, ed è aumentato il numero di locali destinati allo svago di  giovani e adulti.>

Era sbalordito, non aveva mai considerato possibile ristabilire efficienza nei servizi in così poco tempo.

<E’tutto quello che abbiamo sempre sognato da ragazzi, no? Non capisco ancora come sia stato possibile realizzare tutto questo nel breve arco di dieci anni…>

<Bè, non è stato semplice, ma penso che alcune scelte siano state decisive.

Fondamentale è stata la fiducia che la politica locale ha dato a noi giovani, perché eravamo in fondo i più motivati nel riportare alla normalità la città in cui avremmo dovuto costruire il nostro futuro, inoltre gran parte del merito spetta alla perfetta amministrazione del denaro disponibile, che ha interessato dapprima la più urgente questione della ricostruzione. In questo modo migliaia di cittadini hanno avuto la possibilità di rientrare nelle proprie abitazioni all’interno del centro storico, offrendo al tempo stesso l’opportunità a molti studenti, sia locali che esterni, di occupare i moduli abitativi provvisori liberati e rimanere nei pressi delle rispettive sedi universitarie. Ulteriori fondi sono stati utilizzati nella campagna di valorizzazione del centro storico, grazie all’apertura  di nuovi locali e alla promozione di iniziative culturali all’interno di teatri e musei e nell’attivazione di centri sportivi e di aggregazione per i giovani e anche per i più anziani.>

Dal suo modo di parlare traspariva chiaramente tutta la soddisfazione che provava nel descrivere il frutto del suo impegno e  quello degli Aquilani.

<E non è tutto, le opere più importanti sono state effettuate nell’ambito del trasporto urbano e interurbano soprattutto con l’importantissima realizzazione della tratta ferroviaria diretta verso la Capitale, che permette di giungere a destinazione in circa un’ora di tempo, utile specialmente per chi ha bisogno di raggiungere il posto di lavoro in orari precisi ma anche per i ragazzi che hanno voglia di passare una giornata differente e rientrare a L’Aquila in tempi brevi.>

Diego rimase in silenzio per un po’, con le parole di Antonio ancora riecheggianti nella sua mente, poi si rivolse all’amico:

<Sai, penso che adesso sarà ancora più difficile allontanarmi di nuovo da qui, ma credo che sarò di ritorno molto presto…>

<Bene, con l’occasione potremmo fare un giro insieme sulla pista ciclabile che attraversa la nuova oasi verde del fiume Aterno…>

<Davvero?! Un’oasi verde lungo l’Aterno? Be, sarà un motivo in più per tornare.

Ma intanto potresti accompagnarmi durante la mia visita al centro storico, sai, è un po’ di tempo che non ci faccio un salto…>

Diego accennò un sorriso, consumò in fretta il resto della sua aranciata, lanciò un ultimo sguardo al locale e si incamminò verso l’uscita seguito da Antonio.

 

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Aveva appena ripreso posto sullo stesso confortevole sedile che aveva occupato durante il viaggio di andata,ma fortunatamente l’autobus questa volta era sgombro di goffi passeggeri che avessero potuto insidiare il suo sonno ristoratore.

Era stata una giornata intensa, che ancora rendeva ingombra la sua mente di fitti pensieri e immagini nitide.

Prima di chiudere definitivamente gli occhi per abbandonarsi al riposo, non poté fare a meno di rimproverarsi per aver sempre ritenuto la speranza dei cittadini Aquilani qualcosa di utopico e irrealizzabile, perchè adesso anche lui provava un ardente desiderio di tornare a vivere nella sua città.

 

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Vincitore della Sezione 2,  NARRATIVA

Daniele Lancione   - classe  IV E: Dieci anni dopo…

Motivazione della Giuria

Per aver efficacemente espresso pensieri e sentimenti, paure e speranze della popolazione aquilana, vittima del terremoto, attraverso il confronto tra i due giovani personaggi, protagonisti  di un racconto agile  e ben articolato, caratterizzato da buona padronanza degli strumenti narrativi. Degni di esser sottolineati, in particolare, l’equilibrio tra spazi esterni (paesaggi naturali e sfondi urbani) e spazi mentali (sensazioni e riflessioni) ed il rapido trascorrere dal presente al doloroso passato e, da questo, nuovamente al presente dell’anno 2019, in cui la storia è ambientata. Un  presente sereno e felice della città ricostruita, ma futuro, ahimé!, troppo lontano ed incerto per il lettore, cittadino aquilano, di oggi. (Prof. FERDINANDO BALENA ARISTA, DOCENTE)

Daniele mentre ritira il premio