NATALE, NATALI.
Piazza del Gesù, oggi ancor più “ombelico di Napoli”. Le strade e i vicoli come fiumi e rivoli di umanità. Che scopre o riscopre la Città, la sua anima, la sua storia. Oltre gli stereotipi, oltre i problemi. Vecchi e nuovi. S’intrecciano gli idiomi, le lingue, le parlate. Rinascita? Certo che, dopo la “chiusura” per Covid, e i suoi anni bui, e decenni di decadimento, Napoli vive un tempo di grande apertura a chi ne vuole scoprire la preziosità dei suoi tesori. Il food e l’overtourism si fanno soluzioni di ripresa economica; ma anche problemi crescenti per chi cerca casa. Il proliferare di B&B e di case vacanza erode l’offerta abitativa e centrifuga verso le complesse periferie, o fuori città, se non all’estero, chi vive il desiderio di casa e di famiglia. L’emigrazione strappa alla comunità i suoi giovani. Troppi. Nuovi emigranti. Figli “centennials” di un tempo che dà loro un corredo di cose più ricco e una “cassetta degli attrezzi” più consapevole, ma anche un reticolo di relazioni “social” virtuali, fragili. Ragazze e ragazzi della generazione “Z”… Vanno via. Sentono di lasciare affetti, radici, storia. Storia di una Città già Capitale, depredata da una questione nazionale e meridionale mai risolta.
Le luci del Natale, ormai imminente, la vestono di sogno, quasi a esaltarne la bellezza. Nonostante…
Il freddo di fine dicembre accarezza, tagliente. Il sole muore dietro il profilo dei palazzi, che dicono di antiche nobiltà. Le Scritture della vespertina ritmano il cantico dei credenti: “L’anima mia magnifica il Signore…”: la giovane Maria è accorsa, incinta, a servizio dell’anziana cugina, anch’essa culla di Vita nascente.
Fuori le mura della chiesa del Gesù, col bel bugnato e i suoi misteriosi “segni”, la Parola raggiunge Giuseppe. Gli hanno detto di stendere la mano, là, sui gradini della chiesa, per qualche spicciolo di elemosina. Non ce la fa… C’è “distanza” tra lui e le parole, dolci e potenti, di quel cantico, nell’Ottava di Natale. La chiesa è affollata di fedeli e turisti; Piazza del Gesù raccoglie il suo popolo serale. Giovani ovunque; a vivere i riti del consumo. Soli e moltitudine, in cerca di felicità, di relazioni, di senso esistenziale.
Giuseppe, nel frastuono delle voci, si sente fuori posto, “invisibile”, solo… Traguarda all’obelisco dell’Immacolata. Sul cancello che lo cinge, quasi a proteggerlo, un lenzuolo bianco con la scritta “Free Palestine”: traccia dell’ennesima manifestazione, inascoltata. Anche questo Natale continuerà il massacro di un Popolo che scelte di ingiustizia, scellerate, hanno confinato in strisce di terra. Ora violentate, brutalizzate da un massacro inumano. Violenza si aggiunge a violenza; a quella del terrore. Giuseppe sa del dolore della terra palestinese, sa delle decine di migliaia di morti, di civili, di bambini. Sente di vivere anche lui in un “fronte” che produce ugualmente ferite, dolori, morti. Le cronache della città e del paese a ripetere, ogni giorno, della violenza di ragazzi armati, che sparano, accoltellano, fino a farsi assassini. Per una scarpa firmata e sporcata, per uno sguardo ad una ragazza di un malavitoso, per dimostrare l’appartenenza al “branco”. Vite, sogni spezzati.
Si alza. Va via. Ricomincia il suo girovagare. Senza dimora. E’ il suo abitare la strada, alla ricerca di un riparo per la notte. E non per scelta. Trent’anni; da qualche mese in città. Fuga. Da storie rotte, da amori finiti, da lavori precari e persi. E dalla famiglia, luogo ormai straniero. E non solo per la vergogna del suo alcolismo, dopo che l’hanno licenziato… C’è altro, c’è tanto altro che, come un tarlo, scava nel profondo, rode legami, sogni, relazioni… La moglie ha cercato altri approdi di vita ed altre braccia più sicure in cui rifugiarsi. Fuga. Fuga da sé stesso… La bottiglia di vino è ormai la sua compagna, complice, per non guardarsi dentro… Cammina… solo, tra la gente, tutta eguale, senza volto… per ricoprire passi già segnati, senza sorriso e speranza di esistenza.
Una fontanella vicino Santa Chiara regala acqua, pubblica, senza differenze. Ora minacciata. Il rumore dello scorrere si fa voce di vita rinnovante. Un sorso, e sente che già gli dà sollievo. Bagna i capelli, la faccia, poi le mani… Nonostante il freddo, gli regala un briciolo di tempo dove sentirsi parte d’un Creato ch’è bellezza, vita… Acqua… che lava, disseta… Acqua che si fa mare di vita, dove affogare la sofferenza del presente; “spazio” e gusto, dove riaffiorano sentimenti antichi, sguardi di umanità perduta; e desideri…
Sale San Sebastiano, strada di musicisti, di food e di mercanti... Taglia, ignorato, la folla dei ragazzi che consumano i riti della notte intorno alle pietre delle antiche mura greche... In silenzio, va verso i giardini, laddove la Cultura e il suo Museo si fanno narratori di storia e custodi di bellezza… Passi già fatti verso sonni di amarezza; un po' di vino per non pensare, ancora… La città s’appresta al suo riposo… .
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Miriam, giovane donna dall'incarnato scuro; bellezza violata e sguardo fiero… Spinge, per altra strada, una piccola traballante carrozzina… Spinge con forza, e vigore la sua vita... Appese alcune buste e una coperta. E dentro, un bimbo… Occhioni neri, che cercano i suoi occhi; bocca che cerca il calore nel suo seno…. Vento di fame e di disperazione scaraventata l’ha dal suo Paese, oltre quel mare, che oggi è un cimitero; oltre muri e frontiere, odio, egoismi, e leggi che dicon “sicurezza”…
Il suo girovagare è un ricercare un po’ pace, serenità, e futuro. Come la Donna del cantico, essa è incinta. Ragazza-madre, abbandonata dal maschio al suo destino. E nacque il bimbo; in terra italiana, e già straniero… Nessun lavoro per una donna con bambino; ma solo briciole che cadono dalla tavola imbandita dei potenti, e scarti dal cassonetto dei rifiuti… “Invisibili”… anch’essa ed il suo bimbo… Eppur l’amor di tanti si fa dono: un panino, un po’ di latte… un biberon… E un tetto? No, neanche un giaciglio al dormitorio…! Anche per loro la strada è l’abitare, il vivere, e il far finta di sognare… Il bimbo piange… Miriam si china sul “cucciolo”, lo prende, l’accarezza, e se lo porta al seno… Petto di Mamma… Incrociano gli sguardi… e il mondo si fa luce… nonostante…
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Nel giardinetto, dietro una fontana, il buio, quello che fa paura… Nella piazza dedicata a chi ideò l’unità della Nazione, un lampione, discreto, disegna profili d’altra gente: è il piccolo popolo che abita la strada. Poche panchine, già letto per alcuni… per altri un porticato… ad altri ancora il selciato ricoperto di cartoni… Ronde di solidarietà sono passate…: un panino, un indumento, un poco d’acqua… La “civiltà” è lontana, oppur distratta, oppure ignora. Occhi e cuori lontani, per “vederli”, e amarli… Finestre chiuse danno voce al buio, tenue rumore che copre quel dolore… e la mancanza di umana dignità.
Giuseppe aveva conquistato una panchina. Una coperta, la sciarpa, e un ciel di stelle, che quella notte brillavano di più. Si stese… e fu rapito dal manto nero della notte e il punteggiar di luci... lo sguardo a ricercar stelle cadenti, come in estate… per dirsi un desiderio, e per sperare…
S’avvicina la donna e il carrozzino… Non c’è più spazio, né posto nell’ ”albergo”…
Giuseppe s’alza e lascia la bottiglia…”Vieni, ti faccio spazio…. E per il bimbo, mettiamo la coperta sul cartone… vedrai che starà bene, dormirà…”… Miriam, in silenzio, s’accomodò, col “grazie” che dal suo cuore non venne su in parola.
Mentre che la panchina si riempiva, giunse un gruppetto a portare cibo, e una parola amica. Ma quella sera fu per loro scuola. Perché, nel ringraziare, un uomo disse: “abbracciami, amico mio! Ciò che ci serve, com’acqua quand’hai sete nel deserto, è il tuo calore, segno del tuo affetto; sentire le tue braccia, ed il tuo amore…”.
Ed il ragazzo, scordò le sue paure, le resistenze e tutto quanto frena… Come Francesco, spogliato di ricchezze, che convertì la vita in un abbraccio, sotto il lampione strinse le sue braccia intorno a quel “barbone”… E fu silenzio, che farsi sa parola, Verbo, Vita. Se ne andò aiutato ed arricchito, con molto più di quanto aveva dato, a riveder sé stesso, e la sua vita…
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Quella panchina, piccola “casa” s’era ritrovata. Giuseppe e Miriam, col piccolo bambino: una famiglia, sembrava invero nata.
Fu proprio allora che un’auto si fermò, col bagagliaio pieno di vacanza. Sul marciapiede, al palo abbandonò un cucciolo di cane, un po’ in distanza… Giuseppe se ne accorse; e corse allora a scioglier quel batuffolo sfizioso: gli occhioni tristi, di chi si sente cosa… Lo prese… e accarezzò… lo strinse al petto… e il cucciolo, contento, lo sleccò… La panchina lo accolse col suo letto…
Col bimbo tra di loro e il cucciolotto, Giuseppe e Miriam si ritrovarono stretti, abbracciati, nel silenzio della notte… Per tetto il cielo: sembrava proprio casa! Notte di stelle… a mille e ugual per tutti… notte di stelle fatte per sognare… la vita, insieme; e, nonostante, amare…
E’ mezzanotte. Qualcuno spara i fuochi. “Cade” una stella, e traccia, come un lampo, nel cielo sconfinato scia di luce… Che si fa raggio, fino alla panchina, con la sua vita, il sogno, e il suo destino.
È mezzanotte. Una campana suona. Arriva il camion della nettezza urbana. Scendono dalla cabina i netturbini e si fermano davanti alla panchina. La luce della Stella si fa dono, illuminando Natività di Vita. I due contemplano “dentro” questo fatto… desiderando per loro ogni dolcezza... Ed è Natale… quanta tenerezza…
Pasquale Salvio

Immagine tratta dalla rete internet
Racconto breve inserito nel libretto "Napoli, sequenze di luci"
edito dall'Associazione in occasione dei suoi 15 anni dalla costituzione.