Concorso "Napoli, sequenza di Luci. Tra passato, presente e futuro" IL racconto breve di Giovanni Rossi Filangieri
In occasione dei 15 anni dell’Associazione Città della Gioia ETS di Napoli (nata nel 2009 come Onlus), si è pensato di dare voce a quanti ci seguono, sia nel volontariato sociale e culturale che sui social.
Abbiamo, allora, utilizzato lo strumento del concorso, che più volte ha destato molto interesse, favorendo l’organizzazione di eventi culturali (mostre, pubblicazioni, calendario tematico), anche a supporto delle nostre attività sociali.
La nostra è un’associazione che opera prevalentemente a Napoli. Ci è sembrato giusto, allora, sceglierla come tema (“Napoli, sequenza di luci. Tra passato, presente e futuro”), articolando il concorso nelle due sezioni fotografia sociale e racconto breve. Certi di trovare nella Città partenopea un “mondo” di rara ricchezza culturale, storica, artistica. Oggi – pare – riscoperta nel dopo-Covid, anche a livello internazionale.
Ringraziamo quanti hanno desiderato partecipare, anche fuori concorso. LA relativa pubblicazione ne raccoglie le opere, che sono espressione di una visione della Città capace di penetrarne storicamente le radici e di narrarne i valori e il vissuto, ma anche le problematiche. Il che ne fanno una realtà unica al mondo, pur ferita da ingiustizie del passato e del presente. E che – ci auguriamo – possa traguardare ad un futuro degno della sua Storia.
Per l’Associazione Città della Gioia ETS - Centro di Documentazione e di Comunicazione
Pasquale Salvio
IL RACCONTO VINCITORE DI GIOVANNI ROSSI FILANGIERI
EIKòNA - ICONS
Munaciello – L’odore di umido e tufo, questo silenzio in cui da sempre sono relegato anche oggi mi accompagna. Il giallo ed il nero sono i colori del mio mondo. Eppure oggi non è un giorno qualunque. Io, gnomo ripugnante, ecclesiastica caricatura, confinato negli inferi di questa città uscirò all’aperto, andrò verso il mare. Un potente richiamo telepatico, un pensiero che mi trafigge la mente ha ordinato così. Non è un ordine, piuttosto un lamento di dolore, un canto malinconico. Attendo in un angolo recondito del mio regno, qui dove il mondo di sopra ogni tanto arriva. Quella chiassosa compagnia sta andando via, sento le voci che si allontanano sempre più, svanisce anche l’eco che le accompagna. Da una grande caverna sotto la collina di Pizzofalcone, attraverso questo profondo camino che taglia la roccia, giungerò, come faccio da secoli, sotto monte di dio, nel cortile di quell’oscuro e decadente palazzo dell’egiziaca. Pensieri contrastanti attraversano la mia testa deforme. Questa volta non è per far dispetti o sedurre qualche bella signora, non so il perché ma devo! I miei piccoli piedi sanno già dove andare e mi portano con sicurezza sempre più in alto, dove l’aria è più tiepida e umida. Scorgo il chiarore, ancora venti o trenta metri e uscirò da quella dimenticata botola da cui un tempo si attingeva acqua. Avrò un segno, lì dove otto uomini di pietra fronteggiano due cavalieri ed una madre.
Principe Antonio Totò De Curtis – Che sogno strano che ho fatto, una donna, una bella figliola, m’è comparsa innanzi mentre passeggiavo per la via. Era su via Toledo che potevano essere mezz’ora passate le sedici; lo so perché ho guardato l’orologio nel taschino. Questa donna era eterea, era fatta come di luce e mi faceva cenno di seguirla in un posto che ha evocato con la sua mano, lo ha quasi disegnato nell’aria. Io questo posto lo conosco, ho deciso di andarci. Quisquilie, pinzillacchere penserete voi, dove vai, è solo un sogno. Eh già, è un sogno ma è una signora che ha chiesto di andare in un posto e non sta bene deludere una donna anche in un sogno, sarebbe scortese non accontentarla. Ho messo su il mio frac e la bombetta, sapete io vesto all’inglese…hi hi. Perché camminare, meglio attendere l’arrivo di una carrozza per recarmi a destinazione … uh che stupido, dimenticavo, uno spirito non prende la carrozza, non ne ha bisogno; e poi come la pagherebbe? Mentre fantastico questi pensieri, assorto com’ero mi accorgo di essere arrivato già quasi a Foria.
Ma quanti cartelloni hanno appeso, le mie poesie, le mie canzoni. Chi se lo immaginava da vivo che sarei stato così amato. Me la vorrei abbracciare questa mia gente, allegra e sofferente al tempo stesso come è sempre stata, pronta a tendere le mani, proprio come le tendevo io quand’ero vivo. Che bello passeggiare tra le persone, fare il fantasma è un bel lavoro, si vedono tante cose e non si suda. Al finale, devo aspettare un segno al caffè delle sette porte.
Bella ‘mbriana – Genius loci, focolare di tutti i focolari, ospite di tutti gli alberghi, inquilina di tutte le case, la sorte m’ha rinserrata così, ovunque e in nessun luogo. Tra corridoi scuri e dentro pesanti armadi di legno scuro, in soffitte e ripostigli affollati dai vostri ricordi e tutto ciò che non desiderate più mi nascondo. Sono un soffio di vento, una faccia dietro una tenda che oscilla, una porta che vibra, una parete che scricchiola; e quando è pronto a tavola lasciatemi un posto, fatemi sentire che ho una famiglia che mi vuole bene. Io vi proteggerò. Sono lo spirito della casa e, per chi mi vede bella, sono la bella ‘mbriana. Rifuggo il caos, la confusione, il disordine e per questo non esco mai, odio la luce. Ma oggi non è un giorno qualunque. Io, vecchia signora degli anfratti bui uscirò all’aperto, andrò verso il mare. Un pensiero che corre nella mente mi ha chiesto così. E’ un lamento di dolore, come un canto malinconico, quasi straziante. Così lascerò uno dei miei nascondigli preferiti che si trova sulla collina di Pizzofalcone e scenderò dove otto uomini di pietra fronteggiano due cavalieri ed una madre.
Sirena Parthenope – al tempo degli eroi, su questa rocca dorata sono morta di dolore e divenuta leggenda di pietra, per sempre Parthenope. L’amore disprezzato io l’ho donato a questa gente ed ora attendo di sapere se alcuni figli verranno. L’ho desiderato, l’ho chiesto, l’ho implorato. Non l’ho comandato, non l’ho imposto. Li ho chiamati e so che verranno. Li vedo fuori dalle loro avite dimore e nella brezza del pomeriggio attendo il loro arrivo.
La vecchia signora attraversa stancamente i vicoli scuri della paggeria; da tanto non vedeva il mondo esterno. Scorge al centro del largo di palazzo una figura sgraziata e di bassa statura, una figura familiare. Tra gli otto uomini di pietra e i due cavalieri sta fermo, impassibile…attende lei.
Il principe assapora un succo d’amarena con lingue di gatto ad un tavolo del caffè Gambrinus e dalla finestra li scorge: “eccoli, sono loro. Vorrei saper perché questo tavolo adesso è sempre riservato ad un commissario… lo usavo anche io, ha una bella vista sulla piazza. Le solite prepotenze”. Mentre pensa questo, si dirige incontro ai due.
Si forma così questo strano gruppetto: un distinto signore stranamente abbigliato, una signora d’altri tempi ed un nanerottolo nascosto da un rozzo saio. Totò: “buonasera signori, lieto di essere qui con voi. Vi confesso che mai avrei pensato ad una serata come questa …” – Bella ‘Mbriana: “Principe, pensava non esistesse veramente? Chissà magari è così, è solo frutto della nostra fantasia. Magari tutto questo non è reale, nemmeno questa piazza…questa città” – Munaciello: “basta chiacchiere, la madre aspetta … tutti e tre”.
Così scivolano dolcemente per la via del gigante tra profumi e ricordi antichi, di luoghi e persone che hanno affollato questa parte della città. Le spiagge, le barche, i bambini che giocano tra le reti e quell’odore misto di cibo e mare non ci sono più. La signora riconosce tutte le case, il principe rammenta invece tutte le belle signore che ha incontrato e conosciuto nei vecchi palazzi, il Munaciello il mondo dal quale si è sempre guardato. Ora una grande strada liberata - ma da chi o da cosa? - si stende tra mare e città. S’è fatta sera, il castello spiana i suoi minacciosi cannoni contro la città e i suoi abitanti invece che verso il mare aperto.
Parthenope è rannicchiata su uno scoglio. I suoi lunghi capelli cadono sulla schiena nuda ed una ghirlanda di erba le cinge il capo. E’ di spalle e quando il gruppo è giunto nei suoi pressi si volta. I tre prendono posto su una roccia davanti a lei: “eccoci madre, ci hai chiamato e siamo venuti” esclamano all’unisono. Parthenope è bellissima, ma le lacrime solcano il suo viso. Il principe guarda l’orologio che aveva nel taschino e, con grande sbigottimento, nota che le lancette girano al contrario. La sirena li osserva per qualche istante e poi inizia a parlare. Non muove le labbra, è come se la sua voce provenisse da qualcosa di avvolgente, come un canto diffuso da molti altoparlanti: “Io sono Parthenope, al tempo degli eroi su questa rocca dorata sono morta di dolore. L’amore disprezzato io l’ho donato a questa città. Vi ho chiamati e siete venuti, figli miei. E’ passato un istante o cento giorni, chi può dire. Sono ferita, vogliono rubarmi l’anima, vogliono venderla. I nuovi barbari sono qui. Non sono unni, longobardi o bizantini, non sono saraceni o spagnoli. Eccellenze, profitto, numeri, competizione, mercificazione e banalizzazione di miti e leggende, occupazione degli spazi sacri. Io non sono così, non sono mai stata così, ho sempre accolto tutti, non ho mai mosso guerra a nessuno ed ho insegnato la tolleranza e l’ospitalità. Molti sono arrivati qui a dominare, hanno anche ucciso e distrutto, ma hanno rispettato lo spirito ed anzi lo hanno assimilato. Alla fine sono io che li ho conquistati. Il nostro albero ha radici profondissime, la nuova guerra che da tempo è scatenata non taglia i rami, vuole nuocere alle radici perché l’albero inaridisca e muoia. I nuovi rami e le nuove foglie si nutrono dalle stesse radici e vivono grazie ad esse. Io vi chiedo aiuto, la gente di questa città crede in voi, vi ha sempre rispettato ed invocato. Voi sapete come fare, troverete un modo. Siete nelle case, nelle botteghe, nella mente di questa gente e quindi nella mia. E quella connessione di anime e di corpi, che non si può descrivere né spezzare, non deve divenire una mercanzia da vendere a peso. Io sono Chiaia, Santa Lucia, io sono i Vergini, la Sanità, la collina di Posillipo, Materdei, io sono i decumani, io sono il Pendino, san Carlo, Fuorigrotta, Capodimonte e la collina del Vomero. Io sono i Campi Flegrei, il mito, io sono il calore del vulcano, io sono il mare profondo e le isole del golfo, sono la Real Fabbrica di Capodimonte, io sono il Cristo Velato, io sono le commedie di Eduardo, nei tuoi gesti e nelle tue parole, Principe, ci sono io, io sono una canzone sotto un balcone, sono nelle navi dirette in America, io sono il caffè da condividere con chi è sfortunato. Io, Parthenope, sono l’amore tradito dalla ragione che non si è fatta sedurre dalla passione non sapendo a cosa stava rinunciando.” Proferite queste parole, le quattro figure come d’incanto spariscono e la luna adesso illumina solo rocce nere e silenziose.
E’ giorno, un gruppo di bambini è con la maestra davanti al castello:” bambini chi si crede abbia fondato questa città?” – “una sirena, signora maestra, una bellissima sirena come voi”. a maestra sorride, ha una bella ghirlanda di erba tra i capelli. er sempre Parthenope.
La fontana della Sirena Partenope
Napoli, Piazza Sannazzaro, nei pressi di Mergellina
Fonte: https://www.facebook.com/Marcello.foto1973