Concorso "Napoli sequenza di luci. Tra passato, presente e futuro" .ANNA E LE COPERTINE DEI LIBRI racconto breve di Guido Rella
In occasione dei 15 anni dell’Associazione Città della Gioia ETS di Napoli (nata nel 2009 come Onlus), si è pensato di dare voce a quanti ci seguono, sia nel volontariato sociale e culturale che sui social.
Abbiamo, allora, utilizzato lo strumento del concorso, che più volte ha destato molto interesse, favorendo l’organizzazione di eventi culturali (mostre, pubblicazioni, calendario tematico), anche a supporto delle nostre attività sociali.
La nostra è un’associazione che opera prevalentemente a Napoli. Ci è sembrato giusto, allora, sceglierla come tema (“Napoli, sequenza di luci. Tra passato, presente e futuro”), articolando il concorso nelle due sezioni fotografia sociale e racconto breve. Certi di trovare nella Città partenopea un “mondo” di rara ricchezza culturale, storica, artistica. Oggi – pare – riscoperta nel dopo-Covid, anche a livello internazionale.
Ringraziamo quanti hanno desiderato partecipare, anche fuori concorso. LA relativa pubblicazione ne raccoglie le opere, che sono espressione di una visione della Città capace di penetrarne storicamente le radici e di narrarne i valori e il vissuto, ma anche le problematiche. Il che ne fanno una realtà unica al mondo, pur ferita da ingiustizie del passato e del presente. E che – ci auguriamo – possa traguardare ad un futuro degno della sua Storia.
Per l’Associazione Città della Gioia ETS - Centro di Documentazione e di Comunicazione
Pasquale Salvio
ANNA E LE COPERTINE DEI LIBRI di Guido Rella
Anna era una ragazza di un paese della provincia, uno di quei paesi attaccati a Napoli, ma fuori dalle mura della città metropolitana per considerarsi cittadina a tutti gli effetti. Il treno impiegava dieci minuti, mentre il bus ci metteva più tempo, a causa delle fermate intermedie e del traffico automobilistico. Non tutti gli automobilisti sono disciplinati e spesso parcheggiano in seconda fila, restringendo la carreggiata, con inevitabili imbottigliamenti e rallentamenti.
“Eh, è n’attim’.” Si sente dire sovente come scusante per un parcheggio non autorizzato, ma nel frattempo in quell’attimo si era creata una fila di autovetture strombazzanti che chiedevano la strada libera.
Anna preferiva utilizzare il treno e poi la linea 1 della metropolitana per raggiungere piazza Dante, dove l’aspettava tutte le mattine la signora Sofia, una ottuagenaria che si serviva del suo aiuto per se stessa e per le faccende di casa. Anna aveva frequentato le scuole del suo paese con scarsa attitudine e voglia. Studiare non stava nelle sue corde: preferiva le passeggiate con le amiche; pettinarsi di continuo i capelli e andare al cinema. Le piacevano le storie d’amore, con quei begli attori americani dalle fattezze gentili e forti allo stesso tempo, che le facevano sognare un futuro tutto rose e fiori, pieno di lusso, agi e amore incondizionato. I suoi genitori la avevano invogliata ad andare a scuola, ma Anna si stancava subito di leggere i libri. Le piaceva osservare la copertina colorata e dalla prima occhiata si immaginava cosa ci fosse scritto dentro, ma dopo avere letto i primi tre righi, veniva sopraffatta dalla noia e la sua attenzione calava, per dirigersi da un’altra parte. Dopo la terza media, Anna non ne volle più sapere della scuola, preferendo occuparsi di altro. Aveva fatto la parrucchiera, la commessa in un negozio di articoli cinesi, la cameriera in un ristorante, l’operatrice ecologica in una agenzia di pulizie, poi aveva abbracciato l’attività di badante. La signora Sofia la aveva ingaggiata tramite un annuncio nella stazione della metropolitana, uno di quei foglietti ricavati da Publisher da suo nipote, nei quali si scrive il testo e poi nel margine in basso c’è una
griglia da ritagliare, nella quale si inserisce il numero di telefono, da staccare e portare via. Anna ne aveva staccato uno e aveva telefonato. Le fu facile farsi assegnare l’incarico, perché lei non era molto esigente e si adattava facilmente.
“Signurì, parlammece chiar; ata venì in orario, ata fa tutt chelle ca ve cerca a nonna; niente ferie; niente permessi; niente assicurazioni o librett i lavor, contributi e tutt chell’ati fesserie. Pe magnà, ve magnate chello ca cucinate a nonna. Ve rong 650 euro o mese. Sì ve stà bbuon è bene, o si no facimme comm’a sì nun c’avesseme maje vist.”
Le parole di Vincenzo, il nipote della signora Sofia erano state chiare e schiette. Anna aveva bisogno di lavorare. Si fece un rapido calcolo. Con i soldi le operazioni le venivano meglio che alla lavagna quando andava a scuola. L’abbonamento con UnicoCampania le costava 35 euro al mese, poi tutto il resto le entrava in tasca. La signora Sofia era una vecchietta dolce che trascorreva la sua giornata tra il letto e la sedia a rotelle, di fronte alla televisione. Lei avrebbe dovuto aiutarla a vestirsi, uscire dal letto e adagiarsi sulla sedia, aiutarla ad andare in bagno, somministrarle quattro compresse per la terapia medica, cucinare e riassettare la casa che si componeva di sole due camere, il bagno e la cucina. Anna era svelta nelle faccende domestiche e non doveva nemmeno occuparsi della spesa, perché quella la faceva Vincenzo. Lei doveva solo cucinare quello che aveva a disposizione.
Anna accettò, ma prima di definire il patto con una stretta di mano, chiarì che avrebbe fatto il primo mese di prova, poi avrebbe comunicato otto giorni prima della scadenza del mese, se avesse proseguito, oppure no.
“Azz. Signurì, me rat vuje gli otto giorni a me? E vabbuò.” Disse Vincenzo, ridacchiando.
A Vincenzo le aveva fatto una buona impressione. Anna era una ragazza con la faccia pulita. Si vedeva da lontano che era una persona perbene. La nonna, la signora Sofia, si mostrò soddisfatta e la accolse con un bacio e un abbraccio. Anna era la terza badante che entrava in quella casa. La prima era stata una polacca che all’inizio si era mostrata buona e lavoratrice, ma ben presto aveva cominciato ad accumulare ritardi e mancanze, poi aveva cominciato a far entrare in casa un uomo a cui offriva da mangiare, per non parlare delle lunghe telefonate fatte al suo paese con il telefono privato della signora Sofia. La seconda era stata una donna dello Sri Lanka che, però, non parlava bene l’italiano, figurarsi il dialetto napoletano. Quest’ultima si stancava facilmente e spesso si addormentava sul divano. Quando la signora Sofia la chiamava, lei spesso non rispondeva. Quando si accorsero che in casa cominciavano a mancare prima piccoli oggetti di valore, poi addirittura dei pezzi di biancheria, la misero fuori senza darle il corrispettivo per il mese in corso.
Anna cominciò subito a farsi volere bene e a farsi apprezzare. In fondo a lei piaceva occuparsi della signora Sofia e non le pesava il viaggio giornaliero da casa sua a piazza Dante e viceversa. Era sempre meglio che aprire un libro e riempirsi la testa di chiacchiere e parole difficili da imparare a memoria. La vita di tutti i giorni non era una espressione algebrica o una analisi grammaticale, nemmeno una serie di date di eventi storici e battaglie, oppure di laghi, montagne, fiumi, confini e capitali da ricordare. Il suo mondo era più ristretto: il suo paese e Napoli. Tutte le volte che ammirava il murale del Centro Direzionale, lei vedeva i suoi miti e le batteva forte il cuore in petto. Maradona, Massimo Troisi e Pino Daniele rappresentavano per lei il meglio che si potesse conoscere ed era grata a Dio di avere vissuto in quel tempo, per avere visto molti gol, ascoltato delle canzoni stupende e avere pianto per un film di un postino.
Anna conosceva a menadito gli orari della ferrovia e della metropolitana. Non aveva bisogno della sveglia perché apriva gli occhi molto prima del primo treno e quando rincasava, trovava la sua stanzetta e le sue bambole sul lettino ad aspettarla. La televisione riempiva il resto della sua giornata e, fortunatamente, anche alla signora Sofia piacevano i film d’amore. Dopo il primo mese ci fu il secondo, poi il terzo e così via per tre lunghi anni. Una mattina trovò la porta di casa della signora Sofia aperta e Vincenzo con gli occhi rossi e gonfi. La nonna si era sentita male durante la notte ed era morta. Per risparmiare, non avevano mai pensato di farle fare compagnia da una persona. Anna la metteva a letto dopo la cena e se ne andava, per ritornare la mattina seguente.
Le si strinse il cuore dover dare l’ultimo saluto a quella vecchietta alla quale si era affezionata. Anna prese i soldi dei giorni che aveva lavorato dalle mani di Vincenzo e se ne andò. Quella sera stessa ricevette una telefonata. Era una amica di Vincenzo che aveva bisogno di una compagnia per la sua mamma e Vincenzo la aveva raccomandata. Anna si presentò all’indirizzo indicato e riprese a lavorare, contenta di avere trovato subito una nuova occupazione. Ciro, il figlio della signora era carino, poco più grande di lei e studiava nella stanza accanto a quella della nonna. Anna, ogni tanto, andava a guardare le copertine dei libri. Ciro le chiese come mai non avesse continuato a studiare, visto che le piacevano i libri. Anna rispose che le bastava guardare la copertina, perché del contenuto non sapeva cosa farsene. Anna era una ragazza alla buona, grande lavoratrice e buona donna di casa. Anche quelle erano delle qualità. Ciro cominciò ad apprezzarle, fino a chiederle un bacio, mentre sul piccolo schermo compariva la parola fine al termine di un film d’amore.
“Accadde che un pesciolino ciccioso si mangiò un ranocchio ed iniziò a VOLARE”…
(continua tu!)…
Ph Città della Gioia ETS