Le Lacrime di Maya. Diario di un volontario nella baraccopoli di Napoli - di Pieluigi Conzo. Parole anche per la Politica...

  Siamo più volte intervenuti su una delle priorità sociali di Napoli e del Paese: le persone senza dimora, che vivono per strada. Il nostro Progetto "Viandanti della Gioia" sta prendendo gradualente corpo, anche in rete con altre realtà. La nostra Città vive una grave crisi sociale e politica, alla vigilia di decisive elezioni amministrative. Nell'agenda della Comunità civile, anche in questa direzione, uno dei punti prioritari di valutazione di persone e programmi saranno proprio le politiche di welfare e d'inclusione. La protesta e gli appelli degli operatori del terzo settore, senza prospettive, trova ragioni anche nell'esperienza e nelle parole di un volontariato che sa spendere la sua vita e i suoi talenti al servizio gratuito e convinto di chi soffre o è ai margini. Il nostro amico Pierluigi (per noi Piero) si fa voce di tutto ciò. Lo ringraziamo per averci autorizzati alla pubblicazione del suo diario, tratto da "benecomune.net". CITTA' DELLA GIOIA ONLUS

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Per entrarci devi scavalcare delle transenne fluorescenti “lavori in corso” che separano la civiltà visibile dall'invisibile inumanità. Entri in ciò che separerebbe l'uomo buono da quello cattivo, il visibile e l'invisibile che alberga in un modo o nell'altro anche dentro di te. Per arrivarci devi attraversare liquami di fango facendo attenzione ai topi ballerini che anticipano i tuoi passi. Ad accoglierti il sorriso di un gruppo di ganesi (interrotto da un rituale myfriendportatoscarpe?) che, appena fuori dalle proprie baracche, scalda un qualcosacheèemgliononsaperecosa in un pentolone di acciaio nero.

Stavolta, ad accoglierci ci sono le lacrime di Maya, una donna bulgara venuta in Italia tanto tempo fa per fare la badante e poi finita anche lei lì, in quell'agglomerato peri-urbano di costruzioni informali che chiamiamo con disprezzo “baracche”. Ma non sono lacrime di dolore, stavolta, le sue. Ma lacrime di gioia. Gioia perché sei tornato a salutarla come una vecchia amica; sollievo dopo l'attesa di un caro amico. Maya piange e pronuncia i nostri nomi con l'affetto di una moglie che nel dolore gioisce delle visite delle persone più care.
Maya è un donna forte, ma piena di fragilità. A volte quando ricorda il suo passato alcune lacrime scendono sul suo volto. Ma non c'è tempo per lei. Sono più importanti gli altri amici con cui condivide la tragica vita in questa microdiscarica. Spesso, quando le portiamo del cibo, ci prega di distribuire prima agli altri e solo alla fine - nel caso avanzi qualcosa - a lei. Detto in un sola frase ripetuta a litania: daialtriprimanoame.
Siamo andati a trovare il suo convivente-marito-nonsisabenecosa Aseec, ricoverato qualche giorno prima al vicino ospedale a causa di numerose perdite di sangue durante la defecazione. Aseec è un uomo ganese dai capelli bianchi, basso con una pancia molto gonfia nonostante la sua costituzione relativamente mingherlina. Come gli altri Aseec ha sviluppato una particolare predilezione per l'alcool, unica via di fuga dal freddo, dai morsi dei topi, dall'assenza di lavoro e di futuro. Così il bere diventa per molti il caldo torpore di una casa, il caldo abbraccio d'amore della persona amata, le lacrime di un figlio che non vuole andare a scuola. Aseec a volte beve e si immagina essere il fratello basso e povero di Kofi Annan (in effetti una vaga somiglianza fisica ci sarebbe anche); altre volte si lascia andare a sermoni a sfondo mistico con relative citazioni di versi biblici ed ammonimenti morali in vista della venuta del Salvatore con un immancabile godblessyouall finale.


Conoscemmo Aseec tanto tempo fa, quando questa baraccopoli cittadina aggregava rom, ganesi e marocchini in un continuum di costruzioni d'occasione in mezzo a rifiuti (di cui amianto), vegetazione incolta e topi. Non è cambiato molto da allora, nonostante qualche sgombero “di facciata” abbia alla fine portato ad una naturale divisione dell'area in ciò che noi battezziamo ironicamente lato A (prevalenza ganesi) e lato B (prevalenza rom). Sgomberi che distruggono in un momento speranze e si sommano ad una montagna di delusioni e dolori; quegli sgomberi che regalano l'effimera illusione dell'esistenza di uno stato che crede ancora nel legittimo decoro urbano ma che risulta completamente incapace di fornire alternative all'assenza di umanità.
Maya ci accoglie abbracciandoci perché siamo venuti a trovare suo marito. Scambiamo due chiacchiere ma presto si arriva a discutere della preoccupante voce che aleggia riguardo l'imminente sgombero del comune per la riqualificazione dell'area. Per lei, anche se abbiamo portato solo un po' di frutta, la sola visita, il solo parlare è un gesto di fondamentale importanza e cura. Immagino che l'importanza derivi dalla constatazione che - nonostante la città ed il mondo non rispetti la sua dignità - ci sia qualche illuso che crede ancora nell'uomo, nel riscatto, nella speranza.
Molti non se la sentono di entrare in quest'enorme discarica di diritti umani. Del resto è comprensibile e legittimo. Ma alla fine, con le dovute precauzioni, basta lasciarsi andare e aprirsi all'incontro che può avere ogni volta colori diversi. Poco a poco si istaura un clima di stima ed attesa reciproca e il rivedersi diventa un'occasione per condividere momenti tristi e allegri di ciascuno di noi. Aspettiamo loro come loro aspettano noi.
Aseec ed altri suoi amici ci ricordano che non possono continuare a vivere in queste condizioni. Ci dicono che senza un lavoro non possono permettersi di affittarsi una casa. Con la saggezza e la grinta di giovani avvocati ci spiegano che non possono lavorare perché non hanno il permesso di soggiorno e non possono avere il permesso di soggiorno perché non possono lavorare. Alcune mattine si recano alle quattro del mattino al mercato del pesce e aiutano i clienti a caricare le auto o i camion. Gli chiediamo quanto riescono a guadagnare con questo lavoro. Dipende, ci rispondono, dalle giornate: a volte tre, a volte cinque, a volte solo due euro. E quei due euro devono bastare fino al giorno seguente. Un amico di Aseec ci spiega che era in contatto con un avvocato di Caserta che gli stava dando una mano con i documenti. Un giorno si era recato a farsi delle fototessere su richiesta del suo amico avvocato; aveva lasciato però il suo cappotto fuori dalla macchinetta e gli avevano rubato il cellulare. Per cui, non sapeva più come ricevere telefonate dal suo amico avvocato. E' la guerra dei poveri e tra poveri, penso tra me e me.
Credevo di essermi abituato al dolore, alla povertà, al degrado umano incontrato nelle baraccopoli rom, rumene, keniote, argentine e thailandesi. Credevo di essere ormai diventato confortably numb (piacevolmente insensibile) al dolore come cantano i Pink Floyd. Ma le lacrime di Maya hanno aperto un vaso di pandora chiuso da tanto tempo. E tutto il grido di dolore dell'uomo che soffre sale a galla e ti travolge, in un attimo, spingendoti in un baratro di desolazione e vuoto. Non riesci a contenere le lacrime, ma abbassi lo sguardo perchè cresci con l'idea che le lacrime siano segno di debolezza, una cosa che va a tutti i costi nascosta. Qualcosa di cui vergognarsi.
In mezzo ai “rifiuti umani ed urbani di questa realtà invisibile, riscopro di essere ancora capace di sentire il dolore degli altri. Ma allo stesso tempo realizzo la mia frustrante inutilità per il miglioramento del loro benessere. Noi occidentali siamo cresciuti con un'ansia solidaristica di stampo produttivo, cioè con l'idea che la fondamentale ricchezza da donare sia quella materiale: il fare per o il dare all'altro.
Le lacrime di Maya mi ricordano l'importante lezione di umanità e civiltà appresa durante i vari campi di volontariato a Sighet (Romania); lezione che l'università in dieci anni non mi è riuscita ad insegnare: la ricchezza è l'essere con l'altro, condividere anche le proprie ferite con chi ne ha più di te, farsi abbracciare e consolare da chi invece sei lì per “aiutare”. Non c'è lezione di umanità, condivisione e umiltà più elevata ed autentica del farsi battezzare dai poveri, diceva A. Zanotelli.
Alzo lo sguardo e mi soffermo ad osservare la vita instancabile dei rom del lato B che prosegue nella sua instancabile monotonia da presepe. Realizzo sarcasticamente come ci sia qualcuno che con i nostri rifiuti riesca a sopravvivere e sfamare cucciolate di quei giovani nati vecchi e di quelle spose bambine di cui cantava il nostro poeta Faber. Usciamo dal campo passando attraverso una discarica di escrementi a cielo aperto; due vecchi tubi fognari spaccati e un vomitevole acquitrino in un deposito di fango e terra. Mi risuonano le parole di chi dice: rubanoviolentanosidroganoebevonorovinanoildecorodellanostracittàselomeritanoairompiacevivere
cosìetcamen.
E guardo di fronte, verso l'orizzonte di ciò che dovrebbe essere definita “civiltà”: vedo macchine di lusso parcheggiate (Porche, a volte Ferrari bianche, suv Audi e BMW) dei proprietari di attività che dicono essere inmanoallacamorra. Mi chiedo dunque, con una tragica ironia, dove sia più urgente riqualificare l'area. La linea che separa il buono e il cattivo, il giusto e l'ingiusto sembra scomparire in questo mosaico di ruoli capovolti. Abbasso di nuovo lo sguardo, e ritorno a casa sui miei passi ricordando i versi di chi - forse più di tutti - sia riuscito a raccontare in modo semplice le miserie umane senza giudicarle...


“E se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio"
(Khorakhanè - F. De Andrè).


Fonte www.benecomune.net, su autorizzazione dell'Autore