Senza dimora: tra cronaca e valutazione del seminario promosso da Città della Gioia onlus e Associazione Siloe, con l'intervento di Danilo De Luise della Fondazione San Marcellino di Genova
Danilo De Luise nostro compagno di viaggio a servizio dei senza dimora, a Napoli
Foto Pasquale Salvio
Ci affidiamo alle parole di Ornella Agrillo, fresche e pregnanti, per disegnare e proporre alcuni punti di una giornata importante. E' stata voluta e preparata nella traccia di un cammino di formazione e di azione sui senza dimora che mette insieme, nei nostri territori, Città della Gioia e Associazione Siloe. Siamo grati a Danilo De Luise della Fondazione San Marcellino di Genova per essere stato nostro prezioso aiuto nella riflessione comune e nelle indicazioni di percorsi possibili.
SIAMO STATI BENE ...
Sabato 12 giugno i componenti dell’Associazione Città della Gioia e una rappresentanza dell’Associazione Siloe hanno incontrato Danilo De Luise, della Fondazione San Marcellino di Genova. che si dedica all'assistenza di persone senza dimora e che si pone l’obiettivo di procurare soluzioni immediate e, soprattutto, di proporre percorsi di riabilitazione sociale e di acquisizione dell' autonomia.
L’incontro è stato molto intenso e pregnante. Danilo ci ha parlato dell’esperienza avviata nel capoluogo ligure già da parecchi anni, delle difficoltà che tuttora incontrano gli operatori e i volontari e ci ha fornito molti spunti di riflessione. Non bisogna partire da quest’organizzazione strutturata come un modello da seguire in maniera pedissequa, anche perché Napoli presenta condizioni ben diverse rispetto a quelle di Genova, ma avvalersi della sua esperienza come un tracciato da utilizzare in maniera consapevole.
I ragazzi dell’Associazione Siloe, che da anni coraggiosamente aiutano i senza dimora (e Danilo ci ha spiegato esaurientemente perché è preferibile utilizzare questo termine piuttosto che quello più comunemente usato “senza fissa dimora") hanno esposto alcune problematiche con le quali devono fare i conti: la difficoltà di organizzare in maniera sistematica, per risolvere problemi di tipo sanitario o logistico, evidenza dei dati dell’utenza nel rispetto delle leggi, in particolare della privacy; la consapevolezza della necessità di assumere comportamenti diversi nei confronti degli alcolisti, dei tossicodipendenti, degli immigrati, dei rom; l’assenza, a Napoli, di una rete di associazioni che eviti la dispersione di energie e faccia fronte comune; l’esigenza di un percorso di formazione.
Questi, in sintesi, le conclusioni a cui si è pervenuti: la necessità di stendere una mappa di tutte le strutture socio-sanitarie e logistiche che realmente funzionano a Napoli, per prendere poi contatti (lavoro, questo, a cui già si sta lavorando da tempo), servendosi della collaborazione dei medici presenti nell’Associazione Città della Gioia e l’esigenza di formulare un progetto concreto.
La serata è terminata, dopo una lauta cena nella terrazza della casa di Ketty e Franco, che ci hanno generosamente ospitati, con la proiezione del film, sponsorizzato dalla Fondazione San Marcellino, La bocca del lupo, di Pietro Marcello.
Il film narra una storia d’amore tenera e delicata tra un uomo, di origini siciliane, che ha vissuto più di venti anni in carcere, Enzo, e un transessuale ex tossicodipendente, Mary, da lui conosciuto in prigione, che per molti anni lo ha aspettato e con cui ha intrecciato una fitto scambio di lettere e cassette registrate. Il loro sogno è di abitare in una casa in campagna, tra la natura e gli animali, in un "piccolo paradiso" di felicità e tranquillità.
Splendide immagini di repertorio, tratte da archivi, illustrano una Genova antica e suggestiva, interrompendo la storia dei protagonisti, evocata da Enzo e Mary, che si abbandonano al flusso dei ricordi. I carruggi di Genova, con i suoi emarginati, il mondo sommerso e desolato che li abita, ricordano molto i vicoli della nostra Napoli, i quartieri Spagnoli in cui è ambientata, tra l’altro, la vicenda rappresentata al Teatro Nuovo l’anno scorso, Chiovè, tratta dal testo di uno scrittore catalano Pau Mirò: nella versione partenopea le Ramblas di Barcellona sono state sostituite dai quartieri seicenteschi della nostra città. Qui i protagonisti, una prostituta e il suo protettore, la cui convivenza è ormai logorata dalle difficoltà quotidiane e forse ravvivata dagli incontri mercenari con un cliente occasionale, vivono in una specie di microcosmo, in un piccolo appartamento situato all’ultimo piano di uno stabile fatiscente, tra libri e droga. E’ la stessa solitudine che vive Jennifer, la protagonista di Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello , un travestito napoletano, che abita in un quartiere degradato di periferia. Gli unici contatti con l’esterno avvengono esclusivamente tramite il telefono (che suona sempre per sbaglio) e la radio. Il quartiere è una realtà che il pubblico può solo intuire, tutto si svolge all’interno della casa arredata in modo decisamente kitsch e nella quale Jennifer attende inutilmente un giovane ingegnere conosciuto da poco.
Genova, Barcellona, Napoli, città di mare, con i loro porti, i traffici, i viaggi ….. con le loro storie di desolazione, di miseria, di degrado.
Ma Enzo e Mary non sono soli. Sono legati da sentimenti molto intensi e profondi che hanno loro consentito di sopravvivere, pur tra difficoltà e privazioni, nella Genova popolare dei carruggi, insieme ad altri reietti dalla società. Intessono ancora contatti con il mondo esterno: Enzo, che, come dice Mary, ha pianto quando ha visto il film Bambi, va a visitare un vecchio sacerdote malato che l’aveva aiutato in passato; insieme hanno la forza e la tenacia di realizzare il sogno comune, di uscire dalla bocca del lupo e alla fine del film li vediamo nella casa sul mare, in cima alla collina, con i tre cani, davanti al camino, a raccontarci la loro storia. I volti, i corpi, le vite di questi diseredati, dei poveri, degli emarginati, degli immigrati provenienti, una volta dal Sud Italia, come il padre di Enzo, ora dall’Africa, dall’Oriente, fragili e disseccati, in ogni momento possono essere inghiottiti dalla "bocca del lupo”. Sempre sull’orlo dell’abisso, in attesa di essere afferrati dal vuoto, in attesa, forse, di un aiuto esterno che spesso inizialmente rifiutano e che, poi, magari accettano con ritrosia ed estrema cautela, come ben sanno i volontari dell'associazione San Marcellino, dal cui impegno ha preso il via il progetto del film, e anche i ragazzi di Siloe, con cui Città della Gioia costruisce rete, in un’amicizia e in una condivisione che si consolidano sempre di più.
La serata è stata molto intensa: Danilo, con il suo intervento deciso e concreto, per nulla didattico, ha suggerito parecchi spunti di riflessione e modalità d’approccio; i ragazzi dell’Associazione Siloe ci hanno trasmesso, come al solito, il loro entusiasmo e la voglia di fare, in situazioni, peraltro, spesso inquietanti e difficili da gestire; noi di Città della Gioia, soprattutto quelli con meno esperienza nel campo del volontariato, abbiamo avuto una carica di fiducia e una maggiore consapevolezza delle nostre possibilità: aiutare gli altri significa stare, soprattutto, bene con se stessi e anche farlo per se stessi, come ci ha ribadito Danilo, quando ci ha parlato del suo percorso presso la comunità di San Marcellino.
Stiamo stati bene.
Ornella Agrillo di Città della Gioia onlus
I luoghi che attraversiamo sono archeologia di una memoria
(dal film
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Pubblichiamo con fonte YouTube
http://www.youtube.com/watch?v=gEfqFJdzU5s