
Alberto Francesco Sanci, nostro amico de La Comunità per lo Sviluppo Umano - Equipe Napoli (con cui condividiamo la nostra sede operativa di CASA33 insieme agli amici del Movimento Onda Anomala), ha partecipato all'incontro con lo scrittore olandese Gert Hage, promosso dal nostro Centro di Documentazione. E' intervenuto durante la condivisione, ma il tempo limitato del suo intervento non gli ha consentito di eporre in maniera argomentata il suo pensiero. Gli abbiamo chiesto di farlo con un intervento scritto, molto interessante, che proponiamo all'attenzione dei lettori e che arricchisce la "cassetta degli attrezzi" delle parole-chiave, dei pensieri, dei "post-it", delle proposte sviluppate durante il "caffè letterario...e non solo!" e successivamente. Lo ringraziamo, chiedendo eventuali commenti all'articolo utilizzando il format in calce ad esso o le pagine FaceBook. Grazie e buona lettura.


Il paradosso della Metropolitana
Spiegare perché Napoli non esploda, aggrovigliata alle sue contraddizioni che misteriosamente la tengono in equilibrio, non è semplice.
Si può partire provando a spiegare il paradosso della Metropolitana Collinare, la Linea 1 di un sistema di trasporti pubblici pensato e realizzato su un territorio sconnesso, con le proprie 'frazioni' distanti sopratutto mentalmente l'una dall'altra, e realizzato in tempi biblici con un'efficienza che non si avvicina neanche lontanamente a quella delle altre metropoli Europee.
Così, se quella di Toledo è per l'autorevole “Daily Telegraph” la stazione metropolitana più bella d'Europa, viene da chiedersi se gli stessi giornalisti siano voluti arrivare fino alla stazione di Chiaiano, o a quella di Piscinola prima che l'associazionismo ne rinnovasse il volto con la splendida esposizione in riproduzione delle opere di Felice Pignataro, fondatore del GRIDAS e personaggio ancora sconosciuto a circa la metà dei napoletani.
Perché non ribellarsi ai soldi spesi per le opere di Oscar Tusquets Blanca che adornano la fermata di Toledo, o quelle di Nino Longobardi a Quattro Giornate o quelle di Mario Merz a Vanvitelli?
Semplice. Perché i napoletani, cresciuti e formatisi in uno scenario naturale non riscontrabile in nessuna parte del Mondo, e 'abituati', per così dire, all'importanza dell'arte, accettano il superfluo anche in mancanza del necessario. Così come sanno che per la comprensione del bello sia necessaria anche l'accettazione del brutto.
E poi perché è ben presente nella nostra cultura l'idea che tutto quello che viene in più, rispetto al necessario, è sempre ben accetto. Ma ancor di più perché in massima parte nella cultura napoletana resiste l'idea che la bellezza, per la vita, sia maggiormente necessaria dell'efficienza.
Che uno sguardo incuriosito, magari un po' perplesso, rivolto ad un'opera che anche solo per la definizione di qualcun altro sia ritenuta d'arte, sia meglio di una corsa sfrenata verso il treno che sta passando. E pazienza se il treno successivo passerà dopo dieci, dodici, quindici minuti. A Parigi, Milano, Londra, l'attesa nell'ora di punta per un treno del Metrò è di circa due minuti. A Napoli non scende mai sotto i sei, tendenzialmente si attesta sugli otto. E parliamo solo della Linea 1. La linea 2, gli autobus, i treni 'minori' che arrivano nella provincia vesuviana e flegrea possono anche alternarsi al ritmo di quaranta minuti ognuno, o arrivare all'ora di distanza l'uno dall'altro. E, con i tagli pubblici, la direzione è quella del peggioramento del servizio.
La Metropolitana, lo scopro ora, ha una decina d'anni più di me. Vedendola aprire nel 1993, quando avevo otto anni di vita, mi sembrava inimmaginabile che i lavori fossero iniziati da quasi vent'anni. Non avevo considerato l'abusivismo edilizio, gli sminamenti dovuti alla presenza degli ordigni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, la mancanza di fondi e il terremoto del 1980. E' una battuta, ma forse è il caso di ricordare che i napoletani, le cose belle – e quelle con le quali possono guadagnare – preferiscono godersele e tirarle il più a lungo possibile.


Le spalle al Mare e il rapporto col Potere
L'altra domanda, quella posta sulle motivazioni per cui i napoletani hanno girato le spalle al mare, conduce ad una risposta che in qualche modo si collega all'idea che il napoletano covi una sfiducia pressoché costante nel prossimo.